Jeannine Ojalvo: un’infanzia spezzata all’ombra di Auschwitz
Il 4 settembre 1940, a Parigi, nel cuore di una città ancora in cui risuonavano gli echi della sconfitta e dell’occupazione, una bambina aprì gli occhi per la prima volta. Si chiamava Jeannine Ojalvo e, come tutti i bambini, portava dentro di sé la promessa di un futuro intessuto di giochi, scoperte e sogni. I suoi riccioli biondi, il suo sorriso timido e i suoi occhi scintillanti parlavano di un’innocenza universale, quella che si ritrova in ogni parco giochi, nella risata di ogni bambino che riempie di calore una casa.
Ma la Storia, quella forza implacabile che spesso decide il destino dei più deboli, non avrebbe dato a Jeannine il tempo di crescere. Perché nascere ebrea in Francia nel 1940 significava già indossare una stella invisibile, che presto sarebbe stata imposta sugli abiti, e che avrebbe destinato migliaia di intere famiglie all’odio e alla persecuzione. Dietro le mura di Parigi, la caccia era organizzata, metodica, implacabile, orchestrata dalle autorità naziste con la complicità di Vichy.
Jeannine visse la sua prima infanzia sotto leggi antisemite. Mentre gli altri bambini entravano a scuola con i loro nuovi zaini, lei, come tanti altri bambini ebrei, vide chiudersi le porte delle istituzioni pubbliche. La sua famiglia, intrappolata nella paura quotidiana, cercò comunque di offrirle qualche barlume di normalità: fiori tra i capelli, compleanni modesti, storie raccontate nel cuore della notte per aiutarla a dimenticare le incursioni e le ombre sulle scale.
Poi arrivò Drancy. Questo campo di transito, situato alla periferia di Parigi, fu l’ultima tappa francese di Jeannine. Il 2 giugno 1944, mentre la Francia attendeva con speranza lo sbarco alleato e la promessa di un’imminente liberazione, Jeannine fu strappata alla sua infanzia. Fece parte di un convoglio di 1.000 ebrei deportati da Drancy ad Auschwitz , quel luogo maledetto dove i treni scaricavano incessantemente il loro carico umano.
All’arrivo ad Auschwitz, non c’era accoglienza, né futuro, solo selezione. Le SS, con un gesto freddo e meccanico, decidevano chi sarebbe sopravvissuto ancora per qualche giorno e chi sarebbe morto immediatamente. Jeannine, di tre anni e mezzo, fu ritenuta troppo piccola per essere di qualche utilità. Fu mandata alle camere a gas, insieme ad altre 627 persone su quel trasporto .

Agosto 41
Nella mostruosa logica del regime nazista, una bambina come Jeannine era solo un numero, un nome su una lista, una “bocca inutile”. Ma per i suoi genitori, per i suoi cari, per tutta l’umanità, era un mondo a sé stante: una promessa di vita, una voce che avrebbe potuto cantare, amare, costruire e trasmettere.
È essenziale, oggi, ricordare la sua storia. Non solo per onorare la sua memoria individuale, ma perché Jeannine incarna l’innocenza distrutta, il crimine assoluto di un sistema che ha osato trasformare i bambini in ceneri anonime. Il dovere di ricordare non è una formula fissa: è un grido che ci spinge a guardare questi volti e a pronunciare i loro nomi.
Ogni 27 gennaio, in occasione della Giornata Internazionale della Memoria, milioni di persone ricordano. Se volete acquistare un souvenir, non dimenticherete mai di prestare attenzione ai sei milioni di assassini ebrei. Si tratta anche di restituire una storia a ogni bambino come Jeannine Ojalvo, nata a Parigi, deportata ad Auschwitz, assassinata in un’età in cui la vita era appena agli inizi.
L’immagine di Jeannine, con i fiori tra le manine, illustra meglio di qualsiasi discorso il tragico contrasto tra ciò che avrebbe potuto essere e la barbarie che le è stata inflitta. Il suo sorriso, cristallizzato nella fotografia, ci chiede: cosa abbiamo fatto della nostra umanità quando abbiamo permesso ai bambini di entrare nelle camere a gas?
Oggi, nelle scuole, nei musei dell’Olocausto e grazie ad archivi come quelli di Auschwitz-Birkenau e del Memoriale dell’Olocausto di Parigi, il volto di Jeannine attraversa i decenni per ricordarci che la memoria dell’Olocausto è una lotta viva . Perché negarla, dimenticarla o banalizzarla significherebbe una seconda morte per questi bambini che non hanno mai avuto una degna sepoltura.
Attraverso la storia di Jeannine, comprendiamo che l’Olocausto non è solo una tragedia del passato, ma un monito per il futuro. Ogni volta che l’antisemitismo risorge, ogni volta che il razzismo e l’odio avanzano, gli echi lontani dei carri sigillati risuonano ancora una volta.
La bambina nata il 4 settembre 1940 a Parigi non ha mai vissuto l’estate del suo decimo compleanno, né i banchi di scuola, né la gioia di stringere le prime amicizie. Ma il suo ricordo, inciso nella storia collettiva, diventa un atto di resistenza contro l’oblio.
Scrivendo il suo nome, Jeannine Ojalvo , facciamo molto più che ricordare: affermiamo che ogni bambino è importante, che ogni sorriso rubato all’umanità è una perdita infinita. Ci impegniamo, come società, a proteggere l’infanzia, a difendere la dignità umana e a trasmettere instancabilmente questa storia alle generazioni future.




